“Living Architecture”, ovvero come trasformare i nostri edifici in strutture dinamiche capaci di parlare con l’ambiente. A colpi di protocellule, alghe e altre tecnologie viventi. La road map nel libro di Rachel Armstrong di GIULIA BERLARDELLI.
UNA CITTÀ i cui edifici siano dipinti di protocellule, sistemi chimici “quasi viventi” in grado di sentire il loro ambiente. Palazzi che si fanno più forti con il passare del tempo, adattandosi alle bizzarrie di una Terra che abbiamo reso sempre più instabile. E ancora: muri capaci di assorbire anidride carbonica e trasformarla in una seconda pelle di carbonato minerale, con benefici per l’atmosfera e la struttura in sé. È così che Rachel Armstrong, docente di architettura alla University College London, immagina il futuro delle nostre città: oggi “deserti di cemento”, domani (forse) sistemi dinamici più “simili alla vita”. Le sue idee sono raccolte in “Living Architecture” 2, libro-manifesto dell’architettura vivente e vademecum della biologia sintetica applicata al settore edilizio. Repubblica.it l’ha incontrata per farsi raccontare i passaggi di questa sperata rivoluzione copernicana.